Tra Storia e Leggenda
Ultima modifica 15 gennaio 2024
Prima ci chiamavano solamente Cambiaghesi. Prima di quel 1848, anno eroico per l’Italia e la Lombardia. Anno delle insurrezioni contro gli Austriaci e delle 5 Giornate di Milano. Anno in cui gli abitanti dei Comuni vicini hanno cominciato a chiamarci “Scioppett de Pobbia’ “Schioppetti di Pioppo”.
E tutto per colpa di un abbaglio, un colpo di luce che ha indotto i nostri nonni a dare un allarme ingiustificato. “Era ormai giunta la fine dell’inverno e la primavera portava speranze nuove a tutte le genti in Lombardia, sottomessa da ormai 20 anni al potere degli Austriaci che con le buone, ma molto più spesso con le cattive, imponevano la propria volontà al popolo. Gli ultimi giorni di quell’inverno furono testimoni di una vasta insurrezione, che culminò a Milano con le famosissime 5 Giornate, durante le quali i milanesi cacciarono gli Austriaci fuori dalla propria città.
L’entusiasmo era grande, ma anche la paura che l’esercito comandato dall’odiato Radetzky potesse forzare le difese patriottiche e rimpossessarsi di Milano.
Proprio per evitare che gli Austriaci potessero tornare e abbattere il governo provvisorio che si era costituito nel capoluogo, in tutti i paesi attorno a Milano si formarono “eserciti” di sentinelle: uomini donne e bambini che con i diversi mezzi che avevano a disposizione, stavano in guardia e, con una sorta di tam-tam, segnalavano ai “colleghi” la presenza di persone o di eventi sospetti finché il messaggio non arrivava a Milano.
Anche Cambiago vantava numerose sentinelle, disposte a tutto pur di impedire agli Austriaci di riprendersi Milano e dintorni. Una notte, un gruppo di questi temerari era nei campi: la serata era chiara, illuminata da una splendida luna e spirava una brezza che faceva pensare alla dolcezza della primavera. Tutto sembrava tranquillo quando, d’improvviso, in lontananza, videro “chiaramente” il bagliore di oggetti che avevano tutte le sembianze di schioppi. Non c’era neanche un minuto da perdere: il segnale fu inviato alle sentinelle del comune vicino, e da questo a quello successivo, finché la notizia non giunse a Milano. Allora, come ben si può immaginare, il telefono non c’era, e neppure il fax: le persone mobilitate furono numerose, e molto sollecite.
Dopo ore di attesa, constatato che il nemico non arrivava, l’allarme rientrò e tutti tornarono nelle proprie case. Alcuni però vollero capire che cosa fosse successo a Cambia go, e perché il sistema di allarme non aveva funzionato a dovere. Ritornando sul luogo da cui era partito l’allarme, l’equivoco fu chiarito: i campi intorno a Cambiago erano allora circondati da acquitrini e paludi su cui si ergevano magnifici boschi di pioppi. Gli uomini da lontano avevano visto i pioppi mossi dalla brezza riflettersi nell’acqua degli stagni illuminati dalla luna e avevano avuto l’errata sensazione che si trattasse del temuto Radetzky, che invece in quel momento probabilmente dormiva sogni abbastanza tranquilli”.
Da quella notte, “Scioppett de Pobbia” è il nome tradizionale dei Cambiaghesi. E pensare che la storia di questa popolazione è così antica da diventare leggenda. Una storia che è cominciata ben circa 2600 anni fa, circa nel 600 a.C. “In quegli anni al di là delle Alpi viveva un re-pastore di origine celtica che si chiamava Ambigato. La situazione non era molto rosea: il numero dei sudditi cresceva a vista d’occhio e le terre da pascolo si riducevano ogni giorno di più sotto la pressione dei bisogni alimentari e a causa dell’avvento di nuovi popoli provenienti dall’est. Si rendeva assolutamente indispensabile cercare nuovi spazi dove portare il popolo, ma Ambigato era ormai vecchio. Una sera riunì i suoi due nipoti, Belloveso e Segoveso, due splendidi giovani belli e forti: a loro il re confidò che alcuni montanari gli avevano detto che oltre le alte montagne bianche esistevano terre fertili riscaldate dai sole caldo, ,ricche di acqua. Ambigato dichiarò che le possibilità per il loro popolo erano solo due: o cercare quella terra e vivere, o rifiutarla e morire. Belloveso e Segoveso, entusiasti ed un po’ incoscienti come tutti i giovani, non se lo fecero ripetere due volte: partirono, ma non insieme.
Segoveso si diresse con una parte della propria popolazione verso la Germania, mentre Belloveso si avviò verso sud, alla ricerca del sole caldo della nostra penisola. Circa 130.00 persone decisero di partire, chi per 11 Nord con Segoveso, chi per il Meridione con Belloveso. Tutti erano convinti di ricominciare in una terra migliore. Per Belloveso e i suoi compagni di ventura il viaggio fu tremendo; montagne da scalare, profondi burroni picchi quasi inaccessibili e poi… le bufere di neve.
Quante volte furono sul punto di mollare tutto e di tornare indietro…
Ma in quei momenti Belloveso ripensava alle parole di Ambigato … o trovare quella terra e vivere o non cercarla e morire” e si rincuora va. lì suo coraggio, e quello di chi lo aveva seguito, fu infine premiato. Una mattina videro apparire in lontananza una splendida pianura solcata da un fiume, era la Pianura Padana e il fiume rappresentava la possibilità di vivere. Dopo alcuni scontri con le genti che già abitavano queste zone, riuscirono a raggiungere una zona che corrisponde pressapoco all’attuale provincia di Milano. Un gruppo di seguaci di Belloveso decise di stanziarsi al centro di questo territorio e fondarono una piccola borgata che battezzarono con il nome di Mld-Land. Altri si spostarono verso la periferia di questo territorio: uno sparuto gruppetto raggiunse la zona dove oggi sorge Cambiago e gettò le basi del suo primo insediamento chiamando il borgo con lo stesso nome che ancora oggi lo contraddistingue”.
Per un lungo periodo questi nostri antenati poterono vivere in tranquillità, finchè non giunse un tal Giulio Cesare, di Roma, che si era incaponito di conquistare tutte le terre fino ad allora conosciute, che non erano così numerose come adesso. Non fu facile, perché gli eredi di Belloveso, si dice, fossero piuttosto agguerriti, ma alla fine i romani si impadronirono anche di questo territorio. E così diventammo “civili”! Imparammo arti e nuovi mestieri. Finché non cominciarono ad interessarsi a noi anche gli stranieri. Spagnoli, francesi, austriaci: venivano qui e si facevano le guerre per ottenere chissà che cosa. Ma per la gente normale, ogni volta che passava uno di questi eserciti erano guai. E passavano, anche se spesso quando si spostavano, non si vedevano, e allora facevano ancora più paura. Ne é una prova la storia, raccontata dai nostri anziani, del “Palas de la Sibreta”, dove con sibreta si indica la ciabatta di cuoio indossata dalle donne. “Sulla strada che porta da Villa Fornaci a Cambia go, proprio prima di entrare in paese si vede una casa di cui si intuisce un passato glorioso, anche se il presente lascia molto a desiderare. Quella casa ha un nome, Palazzo Cottini, un soprannome “EI Palas de la Sibreta” ed è stato costruito tra il 600 ed il ‘700, proprio nei giorni in cui anche Cambiago era costretta ad assistere alle scorribande degli stranieri, Il palazzo era bello, magnificamente tenuto, ma… Ma ad una certa ora della notte si avvertivano chiaramente i passi di una fantasma, evidentemente donna perché si capiva dal rumore che indossava una ciabatta femminile. E si diceva che fosse una Signora uccisa del passato in questo palazzo”. Così si raccontava alla gente, e non si sa chi avesse messo in giro la voce. Ma molti cambiaghesi, smaliziati, hanno capito in seguito come andavano le cose, anche se non sono riusciti a trovare le prove di queste loro certezze. ‘Sembra che prima della costruzione del Canale Villoresi esistesse un passaggio segreto che collegava proprio Palazzo Cottini a Villa Fornaci e quindi alla Statale il, che era l’unica attraverso la quale si poteva raggiungere Trezzo da Cambia go. Spesso le alte sfere degli eserciti spagnoli, francesi e austriaci ritenevano opportuno sposta re le proprie truppe senza dare troppo nell’occhio: in questi casi in cui era necessaria l’estrema segretezza, gli uomini venivano fatti passare, nelle ore notturne, proprio attraverso questo tunnel segreto. Cosi segreto che non l’abbiamo più ritrovato”! Allora era il tempo in cui alcuni personaggi, quelli che mostravano simpatia per i vincenti di turno riuscivano a vivere in ricchezza, a diventare Signori. La maggior parte della gente, però, era povera ma, così povera da non possedere veramente niente, se non forse quella fame che diventava quasi un’abitudine. Ma la fame stimolava la furbi-zia: ne sanno qualcosa “EI Can de Bif” e le donne della Rombella. “In passato, Cambiago era un villaggio circondato di boschi. Famoso era quello dei Valloni, lungo la strada che porta a Masate. Li, si racconta che vivesse un ferocissimo lupo:una bestia perennemente affamata; che non dava scampo a chiunque, per innocenza o per ignoranza, avesse avuto l’impudenza di addentrarsi in questa “proprietà privata”. Un giorno giunse la notizia a Cambiago che a Castellazzo, una cascina che sorge lungo la strada di Basiano e che quindi è raggiungibile solo attraversando parte di foresta, si stesse organizzando una festa. lì Cane del Signor Biffi non ne poteva veramente più dalla fame, era ridotto pelle e ossa, e riteneva che a questo punto valesse la pena di sfidare la sorte.
Si lavò, si vestì elegantemente, e si incamminò. Giunto sulla soglia della foresta si imbattè nel Lupo che gli chiese quali fossero le sue intenzioni. Il Cane, intimorito ma soprattutto molto affamato, non si scoraggiò e gli rispose dì essere diretto al Castellazzo. Il Lupo, con fare strafottente, gli rispose che mai sarebbe riuscito a raggiungere la sua meta perche lui l’avrebbe mangiato prima. Il Cane non si perse d’animo. “Se mi mangi ora non trarrai grande soddisfazione: non vedi che sono tutto pelle e ossa? Se inve- ce aspetti dopo la festa a cui sto andando, potrai levarti la fame per molti giorni”. Il Lupo ci pensò su, e poi decise che il Cane aveva ragione e lo lasciò passare. “La furbizia ha funzionato una volta” -pensò il Cane “vale la pena di ritentare anche sulla strada di ritorno”. Questa volta chiese allupo di permettergli di fare tre salti per digerire, in modo che poi, mangiandolo, ne avrebbe tratto maggiore soddisfa- zione. Anche in questa occasione illupo seguì il consiglio del Cane, che però in tre balzi riuscì a raggiungere la propria abitazione, lasciando il “povero” lupo senza cena”. Ma se al Cane del Signor Biffi è andata bene, ed è riuscito a soddisfare la sua fame, passando incolume attraverso la foresta, peggio è andata alle donne della Rombella che pure, grazie ad una certa furbizia tutta femminile, erano riuscite in passato a farla franca in barba agli uomini della famiglia. “Erano allora i giorni in cui nelle cascine si uccideva il maiale.
Tutti gli uomini erano impegnati in questo lavoro, che aveva una grande importanza nell’economia locale. Il fermento era grande: c’era tanto da fare, ma era anche una festa. Le donne cuocevano la carne di maiale, che però a loro non spettava. La tradizione non prevedeva che le “signore” prendessero parte a questi banchetti. Le donne della cascina Rombella, però, che pur non essendo femministe -che il femminismo ai tempi non era molto di moda! -non accettavano di buon grado le regole dettate dai loro signori mariti, accantonavano un po’ di carne che consumavano nel pomeriggio, quando gli uomini tornavano al lavoro
Si dice che alla Rombella questa fosse diventata una tradizione femminile, finché, un malaugurato giorno, un uomo si accorse di questo piccolo inganno e decise di vendicare l’onore maschile. Attese che le donne si radunassero dentro la stalla e si accingessero alla luculliana merenda: a quel punto dalla botola fece scendere una calza rossa riempita di fieno, che aveva tutto l’aspetto di una gamba rossa e, con voce imperiosa disse: “Donne, Donne! Son San Pietro che comanda! Se non credete guardate questa gamba! “Udite queste parole e vista pendolare la gamba che credettero fosse di San Pietro, le poverette corsero via, abbandonando il banchetto luculliano e, si dice, anche la tradizione della merenda all’insaputa degli uomini”. Della storia della Gamba Rossa esiste anche un’altra versione. ‘Fino a pochi anni fa, Cambiago era un paese dove si lavoravano i campi si allevava il bestiame e si tesseva la seta, naturalmente la vita del paese si svolgeva tranquilla, non c’era ricchezza, ma la gente si accontenta va. Uno dei passatempo preferiti era quello di radunarsi la sera nelle stalle e raccontare storie e leggende. E così che ancora oggi conosciamo la storia popolare del nostro paese, proprio grazie agli anziani che trascorre vano le serate a narrare. Spesso, però le storie si protraevano a lungo. Troppo a lungo, perché le giornate in una società contadina come la nostra iniziavano molto presto, allo spuntare dell’alba. Quando si vedeva che la narrazione non terminava, la donna più anziana, o comunque una delle più anziane – perché allora gli anziani erano considerati i saggi del gruppo e non i vecchi da buttar via – saliva e da una botola calava una Calza Rossa riempita di fieno e, con voce che non ammetteva replica – ordinava ‘Donne di botte, andate a letto che è mezzanotte. È San Pietro che lo comanda: chi non ci crede guardi questa gamba Ad un simile ordine non si poteva restare indifferenti: tutti a letto, in attesa di un’altra giornata di lavoro e di un’altra serata trascorsa in ascolto delle storie più affascinanti”.
2600 anni di storia: giorni felici, giorni crudeli. Un Paese che per secoli è stato una grande famiglia, a volte in pace, altre in guerra. Qualcuno dice che poi, dopo la seconda guerra mondiale, tutto è cambiato: non ci sono più stalle, si perdono le leggende, gli anziani non raccontano più le storie. A volte, a noi “scioppett” viene un po’ di malinconia, a volte non abbiamo proprio il tempo per farcela venire. Speriamo che qualche nonno abbia ancora voglia di raccontare ai nipotini le vecchie storie: a noi sembravano belle, affascinanti, avventurose. Qualche volta più di quanto non lo siano alcuni film trasmessi dalla televisione!
Tratto da: CAMBIAGO, Origini costumi e leggende a cura di Marina Befli e Francesca Stea